Estratto del libro “Padre Pio, il santo dei miracoli” di Renzo Allegri (pagg. 188-192; Mondadori, Milano, 2002).
I nemici dichiarati del religioso vogliono di più. Sono guidati da Satana. E Satana vuole che Padre Pio non abbia più alcun contatto con le anime.

Si mira alla massima punizione: togliere a Padre Pio la facoltà di confessare e di dire la Messa. I suoi nemici vogliono per lui la sospensione a divinis, che è la più pesante sanzione per un sacerdote, comminata solo per gravissimi delitti e direttamente dal Papa. Con trame e inganni, arrivano vicini al loro scopo.
A vederla adesso, sembra quasi impossibile che sia accaduta una cosa del genere. Eppure questa è storia.
“Santità, per il bene della Chiesa…”
Inviando e facendo inviare al Sant’Uffizio massicce proteste con accuse e calunnie, i nemici del Padre riescono a convincere il segretario del Sant’Uffizio e i cardinali che ne fanno parte che Padre Pio è veramente un sacerdote indegno.
Il cardinale Merry Del Val ne parla con Pio XI, gli mostra le accuse e anche il Papa si convince che bisogna intervenire con la sospensione a divinis. E poiché sa che alcuni cardinali sono estimatori di Padre Pio, convoca una riunione per discutere il “caso” e convincerli che il provvedimento è indispensabile.
La riunione è segretissima. Nessuno, tranne gli interessati, ne è al corrente. Oltre al Papa, partecipano a quella riunione il cardinale Merry Del Val, segretario del Sant’Uffizio, il cardinale Gasparri, segretario di Stato, il cardinale Sili, prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica, e cinque cardinali inquisitori del Sant’Uffizio: De Lai, Pompili, Sbarretti, Lega, Van Rossum.
La discussione si fa subito incandescente perché i cardinali Gasparri e Sili difendono energicamente Padre Pio. Ma sono solo in due, gli altri si schierano per la sospensione a divinis. A un certo momento la porta della stanza si apre e vedono entrare un giovane frate cappuccino. Si guardano esterrefatti. Il giovane frate, con le mani tenute nascoste nelle maniche del saio e il passo claudicante, si avvicina al Papa, si inginocchia davanti a lui, gli bacia il piede e gli dice: «Santità, per il bene della Chiesa non permettete questo». Bacia di nuovo il piede del Papa, si alza ed esce.
Il fatto è clamorosissimo.
È il più sbalorditivo episodio carismatico che si possa trovare nelle vite dei santi. Padre Pio che, in bilocazione, da San Giovanni Rotondo dove è quasi prigioniero, si reca in Vaticano, entra nello studio privato del Papa dove il Santo Padre con i cardinali del Sant’Uffizio lo stanno condannando. Viene visto dal Santo Padre e da tutti i cardinali presenti, parla e poi se ne va.
È un episodio sconosciuto della vita di Padre Pio. Nelle biografie che lo riguardano non si trova. Anche se qualche biografo ne aveva sentito parlare si è guardato bene dal riferirlo ritenendolo assurdo, impossibile.
Eppure, siamo in possesso di una testimonianza che ha tutti i crismi per essere ritenuta autentica. Si tratta di una dichiarazione manoscritta e giurata, rilasciata da Padre Pio Dellepiane, un sacerdote dell’Ordine dei padri minimi di San Francesco da Paola, morto in fama di santità, che fu, negli anni Trenta, confessore della contessa Virginia Salviucci Sili, cognata quindi del cardinale Augusto Sili, dal quale aveva appreso l’episodio.
Un documento eccezionale
Ecco la dichiarazione rilasciata, nel 1966, da Padre Pio Dellepiane a Giuseppe Pagnossin, figlio spirituale di Padre Pio e suo grande difensore.

Io sottoscritto Padre Pio Dellepiane, dell’Ordine dei minimi di San Francesco da Paola, dichiaro con giuramento quanto segue: essendo stato di residenza nella parrocchia di Sant’Andrea delle Fratte tra gli anni 1933-1948 ebbi spesso occasione di amministrare i sacramenti alla contessa Virginia Salviucci ved. Sili abitante in via del Tritone 53, nella adiacenza della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte. Detta contessa era cognata del cardinale Augusto Sili. Essendo spesso ammalata e ciononostante desiderando di fare quotidianamente la Santa comunione, si rivolgeva spesso a noi sia per la vicinanza, sia per l’amicizia che la legava al convento dei Minimi, dove io vivevo.
La contessa era devotissima di Padre Pio di Pietrelcina ed era stata parecchie volte a San Giovanni Rotondo, si era confessata con Padre Pio e ne era diventata una vera figlia spirituale.
Per la mia omonimia con Padre Pio, essa mi parlava volentieri di Padre Pio, dei suoi incontri e dei fatti che erano a sua conoscenza, riguardanti sempre Padre Pio. Io l’ascoltavo molto volentieri. Il fatto più significativo e che più mi impressionò è il seguente, che ora intendo rivelare per la prima volta.
Al tempo del pontificato di Pio XI, come tutti sanno, Padre Pio da Pietrelcina fu variamente accusato e messo in cattiva luce presso il Papa e presso il Sant’Uffizio, per cui furono adottate contro di lui severe sanzioni disciplinari: fu vietato ai fedeli di avere rapporti, anche epistolari, con lui e lo si ridusse a una severa segregazione nel convento di San Giovanni Rotondo. Poteva parlare con i fedeli ma solo in confessione.
Nonostante tutte le sanzioni, le limitazioni, le sconfessioni contro Padre Pio, le folle continuavano ad affluire a San Giovanni Rotondo. Il fatto deve aver urtato fortemente le autorità competenti che nuovamente si rivolsero al Santo Padre perché si decidesse a sospendere a divinis Padre Pio: di nuovo lo accusarono come un mestatore, e indegno di celebrare la Messa. Pio XI aveva deciso di porre termine a tanti ricorsi prendendo la decisione di farla finita una buona volta.

La contessa mi rivelò questi particolari che trascrivo come la memoria me li ricorda. Si riunì la commissione del Sant’Uffizio alla presenza di Pio XI. Tra i membri di questa commissione vi era anche il cognato della contessa Sili, il cardinale Augusto Sili, cugino del cardinale Pietro Gasparri. Si discusse il caso Padre Pio. Mentre il Papa stava per decidere che fosse preso il provvedimento della sospensione a divinis per Padre Pio, si vide entrare un frate cappuccino, con le mani entro le maniche. Con passo claudicante ma sicuro, il frate andò direttamente davanti al Papa e, senza che nessuno dei presenti avesse potuto fermarlo o interrogarlo, s’inginocchiò ai piedi del Santo Padre, baciò il sacro piede e poi supplicò il Papa in questi termini: «Santità, per il bene della Chiesa non permettete questo». Chiese la benedizione, baciò di nuovo il sacro piede, si alzò sicuro e si avviò all’uscita.
Appena uscito il frate, tutti i convenuti, riavutisi dallo stupore, si misero in agitazione e qualcuno uscì fuori dalla sala a vedere e domandare perché le guardie avessero lasciato passare quel frate contro i precisi divieti. I gendarmi meravigliati risposero che loro non avevano visto passare nessunissimo frate. Interdetti, questi rientrarono subito e il Papa non permise nemmeno che parlassero.
Avendo intuito di che cosa poteva trattarsi, la contessa mi riferiva che il Papa sospese immediatamente la seduta e che diede ordine al suo cognato, il cardinale Augusto Sili, di recarsi con la più grande sollecitudine a San Giovanni Rotondo e di interrogare il Guardiano di quel convento, per sapere dove si trovava Padre Pio in quel giorno e in quell’ora. E che cosa facesse. E se avesse saputo che Padre Pio in quel giorno e in quell’ora era in convento, doveva dirgli di riprendere a celebrare liberamente la Messa in chiesa.

Sua Eminenza, che sapeva della devozione della cognata, la contessa Virginia, per il Padre Pio, senza dirle la ragione per cui andava a San Giovanni Rotondo e senza farle alcun cenno dell’accaduto la invitò ad accompagnarlo nella visita che egli aveva avuto l’ordine di fare a Padre Pio da parte del Santo Padre. Il cardinale le aveva detto che con lui avrebbe potuto entrare in clausura e così intrattenersi con Padre Pio.
La contessa avrebbe voluto conoscere il motivo del viaggio ma il cardinale, per allora, non le disse nulla. Soltanto più tardi il cardinale le rivelò ogni cosa.
Il Padre guardiano riferì al cardinale che Padre Pio mai si era mosso dal convento dopo i provvedimenti del Sant’Uffizio e che in quel giorno, e in quell’ora ricercata dal Papa, Padre Pio era in coro a recitare l’ufficio.