Padre Pio come direttore spirituale

di Renzo Allegri, “Padre Pio. Un santo tra noi”, pp. 248-253, Mondadori, 1998.

A luglio (1916, ndr) Padre Pio salì per la prima volta a San Giovanni Rotondo dove si fermò una settimana e poi vi ritornò definitivamente a settembre. E lì nacque subito il primo gruppo delle figlie spirituali […].

Fin dall’inizio il gruppo delle figlie spirituali cominciò a vivere secondo un «metodo» ben preciso […]. Cose pratiche, perché Padre Pio era un uomo pratico. Egli iniziò con una serie di conferenze per erudire quelle ragazze sulla vita che stavano intraprendendo, sui valori che avrebbero perseguito e spiegando come si poteva raggiungerli.

Ha raccontato Nina Campanile nel suo Diario: «Ci spiegò dapprima i principali mezzi che servono per raggiungere la perfezione cristiana e cioè: la scelta di un santo e dotto direttore; la frequenza dei santi Sacramenti; la meditazione; la lettura spirituale. Spiegava l’argomento e l’avvalorava sempre con esempi tratti dalla Sacra Scrittura e dalla vita dei santi. Diceva: “Gli argomenti sacri devono essere sempre avvalorati da esempi sacri e non da esempi profani perché hanno maggior valore e maggior effetto”. Tenne conferenze speciali sulla mortificazione e infine ci spiegò molte parabole evangeliche. Poi il Padre sentenziò: “Il materiale è pronto, ora cominciate a costruire”. E sciolse le adunanze». Finita l’istruzione collettiva, legata ai princìpi fondamentali, iniziò il lavoro «personalizzato», per applicare quei princìpi secondo le esigenze e i bisogni di ciascuna persona. […].

Raccontò Vittorina Ventrella in una sua testimonianza scritta: «Padre Pio accordava a ciascuna di noi sue figlie udienza privata per i bisogni dell’anima. Noi avremmo voluto che per tutte impiegasse lo stesso tempo e brontolavamo ed eravamo risentite quando si intratteneva di più con qualcuna. Essendo ancora principianti, non eravamo in grado di capire che non tutte le anime hanno gli stessi bisogni. Come l’agricoltore ha cure diverse per le diverse piante, così un saggio direttore di anime deve adattarsi alle varie necessità di ciascuna di esse. Povero Padre… quanta pazienza ha avuto per ciascuna di noi. Fra noi sempre si investigava perché il Padre a quella la trattava con più dolcezza e a un’altra con durezza. Ad altre tante preferenze e ad altre niente. Si soffriva e siccome si diceva che alcune anime le aveva più vicine, e confidava loro i suoi segreti, io gli chiesi se veramente quelle anime che ci facevano a noi tanto soffrire erano le preferite e se veramente confidava loro i suoi segreti. Lui mi rispose: “Io mi confido solo con Domine Iddio”».

Padre Pio con una figlia spirituale.

Sullo stesso argomento disse a Filomena Fini: «Voi vi dovete convincere che non agisco per caso, ma per volontà di Dio».

Nel suo insegnamento Padre Pio curava in maniera particolare la meditazione. Cioè l’orazione mentale, che è cibo dell’anima ma anche del cervello. Riflettere e capire i significati profondi delle verità cristiane aiuta a tenere poi una condotta pratica in sintonia con quelle verità. Suggeriva di meditare soprattutto sulla Passione e Morte di Gesù. Mistero del valore salvifico della sofferenza e dell’amore immenso di Dio per gli uomini. Scrisse Rachelina Russo: «Consigliava la meditazione anche faccia a terra, come l’ha fatta nostro Signore nel Getsemani. E tutte le preghiere di regola e devozioni speciali. Esigeva la meditazione due volte al giorno, al mattino e alla sera. Il soggetto da meditare era sempre la Passione di Gesù. II modo di fare la meditazione me lo spiegò il Padre nella foresteria. Scelse per argomento Gesù che fa orazione nell’orto. Quando ebbe finito di spiegare e di meditare assieme a me ebbi il coraggio di dirgli: “Padre, non mi sono commossa per niente”. E lui: “Ma non è necessaria la commozione se non c’è e non viene. L’importante è che la meditazione si faccia”».

Sempre sul tema del mistero della sofferenza, che è una cosa fondamentale nella vita di Padre Pio, spingeva le sue figlie alla mortificazione, al sacrificio. A fare insomma qualche cosa che potesse ricambiare quanto Gesù aveva sofferto per amore degli uomini. […].

Lo scopo di Padre Pio non era quello di avere successo con le persone che dirigeva spiritualmente. Non cercava il consenso, l’approvazione. Voleva il bene oggettivo della «figlia» e per attenerlo non esitava a dimostrarsi a volte molto duro. «A seguire Padre Pio — scrisse la sua figlia spirituale Filomena Fini — si soffriva fortemente. Le sue prove, le sue sgridate, il trattamento diverso delle anime, tutto questo spezzava il cuore dal dolore e ci voleva molta fede per dire che il suo operato era giusto. Un giorno che avevo tanto sofferto gli dissi: “Padre, ma è così sofferente la vita spirituale?”. E lui mi rispose: “Vita spirituale significa agonizzare”. E io, un po’ impulsiva: “Ma io non voglio agonizzare”. E così il buon Padre, non mi trattò più con durezza e variò il suo modo di agire. È bello stare vicino a un santo, ma quanto si soffre!».

Vittorina Ventrella: «Qualche volta qualcuna di noi si angustiava di non progredire come le altre con facilità. Il Padre allora diceva: “Alcuni vanno in paradiso in treno, altri in carrozza e altri a piedi. Questi ultimi però hanno più merito degli altri e un posto maggiore di gloria in Paradiso”».

Accanto ai grandi temi della meditazione, della Passione di Cristo, della penitenza, dei Sacramenti, Padre Pio istruiva le sue figlie spirituali nelle devozioni semplici ma pratiche della tradizione cristiana. Dando, in questo modo, una visione assai concreta della vita spirituale. Il mondo visibile e quello invisibile (che egli attraverso le sue esperienze mistiche conosceva bene) sono inscindibili, fanno parte della stessa realtà che costituisce il Corpo mistico di Cristo. L’uomo sulla terra resta strettamente e concretamente legato a chi è nell’altra dimensione, quindi agli angeli, ai santi, alla Madonna, ai propri cari defunti. E attraverso il Corpo mistico di Cristo può vivere con loro come se fossero ancora in questo mondo, come se con loro costituisse una vera famiglia. Scrisse un’altra figlia spirituale di quel primo gruppo: «Una delle devozioni che ci inculcava era quella dell’Angelo custode. Egli diceva: “È il nostro compagno indi visibile. Colui che ci è sempre vicino dalla nascita alla morte. Per cui la nostra solitudine è solo apparente. Il nostro Angelo custode è sempre accanto a noi, fin dal mattino appena svegli, poi per tutta la giornata e la notte. Sempre, sempre, sempre. Quanti servigi ci rende il nostro Angelo custode senza che ce ne accorgiamo”. E poi ci raccomandava la pratica del Mese di maggio con novene e suppliche alla Vergine di Pompei, del Mese di giugno con la coroncina al Sacro Cuore tutti i giorni; inoltre, la devozione alla Madonna del Carmine, a sant’Anna, all’Assunta, la quaresima di san Michele, il Mese di ottobre dedicato al Rosario e agli angeli custodi, il Mese di novembre con le preghiere per i morti e infine tutte le devozioni del Mese di dicembre dall’Immacolata fino a Natale e poi l’Epifania, con la recita delle quaranta Ave Maria che cominciano il giorno di santa Caterina».

Era un continuo suggerimento a vivere in «comunione» con quella realtà invisibile che dalla Chiesa viene proposta al ricordo nel corso dell’Anno liturgico attraverso speciali ricorrenze. Per lui quella realtà era concreta come la vita reale di tutti i giorni e cercava di far sì che lo diventasse anche per le sue figlie spirituali.

(fonte: settimanaleppio.it)

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