P. Pio e la “zoppetta” crocifissa

La Beata Benedetta Bianchi Porro fu confermata nella sua vocazione all’offerta di sé dal Cappuccino di San Giovanni Rotondo.

di Francesco Bosco

Benedetta Bianchi Porro è un esempio luminoso di fede e resilienza. La sua vita testimonia come la sofferenza, vissuta con fede e speranza, può trasformarsi in una testimonianza di amore e fiducia in Dio. Nata a Dovadola, in provincia di Forlì, l’8 agosto 1936, in una famiglia credente e devota al Cappuccino di San Giovanni Rotondo, Benedetta fin da piccola dimostra un’intelligenza vivace e una spiccata sensibilità. Purtroppo, a soli sei mesi, contrae la poliomielite, che le lascia una gamba più corta dell’altra. Nonostante ciò è una bambina allegra e piena di vita. Le sue condizioni di salute peggiorano e deve indossare uno scomodissimo busto, per le deformazioni della schiena. “La zoppetta”, la chiamano in paese, ma lei non si offende: «Dicono la verità». A 13 anni comincia ad accusare una progressiva perdita dell’udito, che si acuisce con il passare degli anni. A 16 anni, le viene diagnosticata una neurofibromatosi, il morbo di Recklinghausen, una malattia genetica rara che colpisce il sistema nervoso. Comincia a barcollare e per camminare deve appoggiarsi a un bastone. Nonostante tutto, riesce a diplomarsi, si trasferisce a Milano e si iscrive all’università ad appena 17 anni, il 28 novembre 1953. Vuole diventare medico per aiutare gli altri, perché per sua sfortuna sa benissimo cos’è la malattia. Negli studi è molto brava, ma la malattia avanza, inesorabilmente. «Non si è mai visto un medico sordo!», le grida un giorno infuriato il titolare della cattedra di anatomia scagliandole il libretto per terra. Benedetta non si arrende, ma continuare è duro. «Mi sembra – scrive – di essere in una palude infinita e monotona e di sprofondare lentamente…».

L’incontro con Padre Pio

Nell’autunno del 1956 la ventenne Benedetta si reca a San Giovanni Rotondo con la zia paterna, sua madrina di battesimo e i nonni per chiedere a Padre Pio l’intercessione della guarigione insperata. Zia Carmen racconta dettagliatamente quell’incontro in un documento presentato al processo di canonizzazione della nipote. Mentre aspettano la Messa delle 5 del mattino improvvisamente la investe «un profumo delicato e intenso». Nessuno accanto a lei percepiva il profumo: «Mi girai di colpo, mentre Benedetta si stava avvicinando e le chiesi con insistenza il nome del profumo che usava. Mi guardò stupita, ribatté: “Ma io non uso mai profumo zia!”». Terminata la Messa, una vera folla si riversa lungo il corridoio che Padre Pio stava attraversando, uscendo dalla sacrestia: «Noi pure ci spingemmo avanti senza risparmiare gomitate; in modo che mia nipote riuscisse a mettersi in prima fila per vedere il Cappuccino santo e toccargli il saio. Nonostante la sua sofferenza e le gambe malferme, mia nipote volle inginocchiarsi al suo passaggio. Il Padre, che pareva affrettarsi, improvvisamente si fermò davanti a lei, le prese le mani tra le sue – portava i mezzi guanti neri per coprire le stimmate – poi delicatamente la sollevò in piedi, la guardò negli occhi in silenzio e, dopo aver accennato un segno di croce, le posò la mano sul capo. Benedetta era raggiante. Delicatamente si tolse il foulard che portava sul capo e lo ripose nella borsetta per conservarlo sempre con sé. Il viaggio di ritorno, il giorno stesso, fu bellissimo: cantammo e pregammo insieme. Benedetta era così felice!». Dopo qualche mese la zia torna in pullman a San Giovanni Rotondo, decisa di chiedere personalmente a Padre Pio la grazia per la nipote. Avrebbe dovuto attendere molti giorni a causa delle “numerosissime prenotazioni”: «Mi rivolsi ad un frate che mi promise una risposta per il giorno seguente. Padre Pio gli aveva sillabato queste poche parole: “Deve compiersi la volontà di Dio”. “Deve!”, esclamai io sconvolta. “Questo è quanto mi ha detto il Padre”, aggiunse il frate. Compresi che per mia nipote non restava altro che il martirio». E cosi fu. Un primo intervento chirurgico alla testa le provoca una paresi facciale, e un secondo intervento al midollo, nel 1959, la paralizza completamente. Dichiara formalmente di rinunciare al proseguimento degli studi universitari “per gravi motivi di salute” il 30 novembre 1960.

Un’autentica crocifissa

Dopo aver affrontato la notte oscura della sofferenza e della solitudine, essersi spaventata per il rischio di perdere la vista e l’udito, e aver visto andare in frantumi i suoi sogni più belli, finalmente una luce comincia a illuminare il suo buio interiore. Gesù inizia a entrare nella sua vita in modo sempre più significativo e prezioso, dando un senso alle giornate interminabili, al dolore fisico, al buio e al silenzio che la circondano: «Mi accade di trovarmi a volte a terra, sotto il peso di una croce pesante. Allora Lo chiamo con amore e Lui dolcemente mi fa posare la testa sul suo grembo». Attorno al suo letto, molti amici cercano di alleviare la sua solitudine, ma tornano a casa pieni della serenità che lei trasmette. Spesso riesce a sussurrare loro: «La vita in sé e per sé mi sembra un miracolo, e vorrei poter innalzare un inno di lode a Chi me l’ha data… Certe volte mi chiedo se non sia io una di quelle cui molto è stato dato e molto sarà chiesto… Io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili; e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo». Un inno alla vita, sorprendente solo per il fatto che chi lo pronuncia è una ragazza cieca, sorda e totalmente paralizzata da una malattia subdola e devastante che ha risparmiato solo la sua intelligenza, un filo di voce e una mano per mezzo della quale comunica con il mondo. Benedetta è un’autentica crocifissa. Tuttavia, questa condizione non spegne la sua fede, anzi la rafforza. Casa sua diventa un punto di riferimento per chiunque cerchi speranza e coraggio. Trascorre il tempo in preghiera, e chi la incontra resta colpito dalla sua serenità e dal suo sorriso. Nonostante l’isolamento dovuto alla malattia, mantiene un’intensa vita spirituale e relazionale, scrivendo lettere a molte persone che cercano conforto e consiglio.

A Lourdes la “chiamata”

Nel maggio del ‘62 Benedetta va a Lourdes col treno bianco dell’UNITALSI, un viaggio lungamente desiderato: «Attraverso un periodo di aridità, spero di passarlo con l’aiuto della S. Vergine che è la più dolce delle madri». Piena di fiducia nella Consolatrice degli afflitti, Benedetta ha un sogno: «Desidero guarire per farmi suora. Ho fatto voto». Ma altri erano i disegni di Dio su di lei. La seconda volta che ci va, l’anno seguente, il miracolo di Lourdes sarà la scoperta della sua vocazione: la croce. «Mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo». A gennaio 1964 si accorge che le sue condizioni generali sono peggiorate parecchio: «Spero che la “chiamata” non si faccia attendere troppo», dice serenamente agli amici. Il momento arriva il 23 gennaio nella casa dei genitori a Sirmione. Benedetta si congeda da questo mondo con un messaggio di speranza: «Amate la vita, perché anch’io sono stata contenta di quello che Dio mi ha dato». In Australia, il giorno della sua morte, zia Carmen, mentre lavora il tabacco avverte improvvisamente un intenso profumo di viole: «Mi ricordai del profumo di Padre Pio. Dopo qualche ora, una signora giunta dall’Italia, mi comunicò la morte della mia figlioccia, di cui non avevo notizie da qualche tempo. Ora Benedetta è qui accanto a me con Padre Pio: due “crocifissi” che mi aiutano dal cielo, mi proteggono e hanno cambiato completamente la mia vita».

Benedetta Bianchi Porro è stata beatificata da Papa Francesco il 14 settembre 2019.

(Fonte: Voce di Padre Pio, 06/2024)

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