San Pio da Pietrelcina, santo portentoso e dono della divina Provvidenza, è stato uno dei casi più eclatanti e “potenti” di anime immolate per la salvezza degli uomini. E mai come in questo tempo storico di devastazione teoretica e morale in cui gli uomini corrono rovinosamente sulla strada della perdizione, la carità soprannaturale di questi uomini è assolutamente necessaria.
di Fra’ Pietro Pio M. Pedalino (3 e 17 aprile 2022)
Padre Pio cominciava ufficialmente la sua missione di corredentore e di vittima espiatrice a un anno esatto dagli eventi di Fatima con l’impressione delle stimmate visibili, il 20 settembre 1918: «Perché padre Pio ricevette nel 1918 le stimmate visibili (che lui non voleva) cosa che fece di lui un segno pubblico e che scatenò quel grande movimento di conversione? […]. Perché quell’offerta propiziatoria della vittima fu il seme piantato nel momento iniziale del più colossale cataclisma spirituale della storia cristiana. C’entra […] la Prima Guerra mondiale, la grande catastrofe da cui tutto si scatenò (le ideologie del male, tutti i totalitarismi con i loro genocidi), la Seconda Guerra mondiale, quelle persecuzioni contro la Chiesa mai viste prima nella storia e c’entra la gravissima crisi della Chiesa, l’immane apostasia del nostro tempo, l’apocalittico crollo del sacerdozio. L’offerta di padre Pio e la risposta celeste delle stimmate sono misteriosamente legate anche a Fatima, evento soprannaturale di enorme portata profetica. E infatti accade, anch’esso, nel cuore della grande guerra e preannuncia tutto ciò che abbiamo appena evocato».
Il Santo frate cappuccino, si sa, nutriva una profonda devozione per il mistero di Fatima. Una delle ragioni principali era di certo quel messaggio corredentivo proposto dalla Vergine Santissima e incarnato dai tre veggenti che trasmisero, con la loro vita ancor più che con le loro parole, l’urgente appello da Lei consegnato al mondo poco più di cento anni fa. Mirabile, in particolare, come i due piccoli santi fratellini Marto siano stati in grado di incarnare il messaggio corredentivo di Fatima dando a tutti un esempio di prima qualità: «San Francesco e santa Giacinta […] sono andati davvero all’essenziale, facendosi vittime con Gesù Vittima, agnellini immolati con “l’Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Li muoveva una carità gigante e mai sazia di offrire e soffrire per amore di Gesù e Maria per la salvezza dei peccatori, per riparare i peccati […]. Questa carità sacrificale è carità che non inganna e non illude gli altri né si prende gioco di Dio, perché è la stessa carità di Cristo sofferente e morente per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). In questo senso, questa carità sacrificale è il più fruttuoso “amore per i poveri” del mondo perché non ubriaca nell’illusione di salvarli dai mali sociali e dai disagi economici (ricordava il Signore: “I poveri li avrete sempre con voi”: Gv 12,8) ma, per mistero soprannaturale, realizza una “vicaria spirituale” tramite la preghiera e la sofferenza per cui i veri amanti di Dio e delle anime liberano tanti loro fratelli dal peccato e dalle fiamme dell’Inferno».
È quanto esprimeva papa Benedetto XVI nel 2010 a Fatima con pregnanti parole: «Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?” (Memorie di Suor Lucia, I, p. 162)».
Questa medesima richiesta, in modo sorprendente, il Signore l’avrebbe rivolta al santo Frate di Pietrelcina. Nel suo best-seller Il segreto di Padre Pio, il saggista Antonio Socci faceva questa significativa riflessione: «La cosa veramente sconvolgente, indicibile, è la sofferenza vicaria, l’esistenza di vittime che silenziosamente, da tutti ignorate, si caricano di sofferenze per pagare colpe altrui, espiano per tutti, liberando anche tante anime del Purgatorio. Questa opera è l’unico, grande movimento di liberazione, l’unica vera “teologia della liberazione” che renda felici delle moltitudini e che non provochi tragedie». E altrove ribadiva il pensiero: «è questa “sostituzione vicaria” che sconvolge, il fatto cioè che una persona possa volontariamente espiare le colpe di molti e prendere su di sé le loro sofferenze per guarirli». Un grande mistero, davvero, quello della sofferenza vicaria. È, infatti, sorprendente notare come, nei suoi messaggi al mondo (di cui Fatima potrebbe costituire la sintesi e il “progetto architettonico” che viene poi dettagliato in apparizioni e messaggi più recenti), la Vergine Maria stia, ormai da tempo, estendendo la sua richiesta di immolazione e di offerta a tante anime che, all’apparenza, non hanno nulla di speciale eppure ad esse Ella chiede un’eroica autoimmolazione per placare l’ira del Giudice divino. Queste anime elette svolgono, così, la delicata e provvidenziale funzione di “parafulmini” della giustizia divina pagando di persona perché il popolo sia risparmiato.
Nota con sagacia il saggista Saverio Gaeta in un suo recente libro: «Se il nostro pianeta non si è ancora dissolto nell’autodistruzione nucleare o per una catastrofica calamità naturale è soltanto grazie alle anime-vittima: per la maggior parte donne, umili e semplicissime, che si sono offerte al Signore e hanno preso su di sé le drammatiche sofferenze che altrimenti sarebbero già toccate all’intera umanità». Si tratta di esseri umani come tutti noi, eppure diversi da noi per l’eroismo con cui hanno liberamente scelto di caricarsi del dolore del mondo. Offerta mossa da carità sconfinata perché la sofferenza spiace e costa alla natura che tende, per sé, alla tranquillità dell’anima e dei sensi. Questa dinamica di lotta, esemplata su quella stessa ingaggiata dal Salvatore e testimoniata dai Santi Vangeli, è esperienza comune delle anime-vittima.
È noto quanto duro fu per il Signore caricarsi del peso del peccato dell’umanità con tutte le sofferenze che comportava la sua Incarnazione redentiva. L’atrocità della lotta del Salvatore è registrata dagli Evangelisti soprattutto in occasione della sua preghiera nell’orto degli Ulivi, nell’imminenza della Passione: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). Ma alla fine l’amore di Cristo fu più grande e il Buon Pastore diede la sua vita in riscatto di molti: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (2Pt 2,20). Benedetto XVI, circa la preghiera di Cristo nel Getsemani, annota: «Le due parti della preghiera di Gesù appaiono come la contrapposizione di due volontà: c’è la “volontà naturale” dell’uomo Gesù, che recalcitra di fronte all’aspetto mostruoso e distruttivo dell’avvenimento e vorrebbe chiedere che il calice “passi oltre”; e c’è la “volontà del Figlio”, che si abbandona totalmente alla volontà del Padre». La “realtà salvifica” sta nel fatto che «nel giardino […] Gesù ha accettato fino in fondo la volontà del Padre, l’ha fatta sua e così ha capovolto la storia».
Una di queste anime-vittima è stata la mistica tedesca Teresa Neumann, vissuta tra il 1898 e il 1962 che, a partire dal 1926, si limitò ad ingerire quotidianamente l’Ostia consacrata senza più nutrirsi con cibi o bevande, al punto che durante la Seconda Guerra mondiale i nazisti non le assegnarono l’indispensabile tessera annonaria per l’acquisto degli alimenti. Il suo biografo Fritz Gerlich trascrisse il dialogo che ebbero circa le pene di espiazione: «“Il Salvatore è giusto, perciò deve punire. Egli però è anche buono, perciò vuol aiutare. Il peccato commesso deve essere punito, ma se un altro vuole assumere la pena, la giustizia viene rispettata e il Salvatore può esplicare la sua bontà”. Questo discorso mi indusse a chiederle quale rapporto avesse lei con il dolore. Credevo, infatti, di aver osservato che ne avesse paura e si sforzasse di sopportarlo solo con grande forza d’animo e per obbedienza alla disposizione divina che le aveva imposto questa croce. Lei rispose alla mia domanda: “Il dolore non può piacere. Non piace neanche a me. Nessun essere vivente ama soffrire e io sono un essere vivente come gli altri. Amo però il volere del Signore e quando Lui mi manda una sofferenza l’accetto perché Lui lo vuole. Ma il dolore non mi piace”».
Non fu di certo diverso per padre Pio.
«Padre Pio non ama la croce per se stessa. Nessuno può amare la sofferenza per se stessa. L’istinto naturale fa respingere la sofferenza con impulso netto ed immediato. Anche l’istinto di conservazione entra subito in azione per respingere ciò che attenta al benessere dell’uomo. Qual è il motivo, allora, per cui padre Pio ha amato la croce, l’ha voluta, l’ha fatta propria con una passione spinta fino alla predilezione per la sofferenza? La risposta è questa: “L’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù”. Padre Pio ha scoperto il valore della croce, la sua importanza, la sua preziosità. Dal momento che Gesù si è addossato la croce, dalla nascita nella stalla di Betlemme alla morte sulla croce del Calvario, c’è da credere che la croce abbia un valore, un grande valore […]. La croce sulle spalle di Gesù diventa amore redentivo, amore che ripara, amore che salva e santifica. È proprio con la croce, per mezzo della croce, sulla croce, che Gesù ci ha salvato e ci ha ridonato la vita divina, perduta con il peccato dei nostri Progenitori e con i nostri peccati di ogni giorno […]. Padre Pio ha contemplato con passione e ardore Gesù crocifisso, tutto “piaga d’amore”, e non ha resistito all’attrazione di quell’amore bruciante, perdendosi nelle piaghe del Crocifisso fino al punto di sentirsele riprodurre al vivo, trafiggenti e sanguinose nel proprio corpo. Croce, piaghe, sangue: sono realtà d’amore che salva e santifica, che purifica e trasfigura, che redime ed innalza verso il Cielo. Per questo Gesù crocifisso è Gesù Amore. Per questo padre Pio ha voluto diventare, come afferma Paolo VI, “rappresentante stampato delle stigmate di Nostro Signore”».
1.(fonte: settimanaleppio.it)
Se tale appello, quello della sofferenza vicaria, è così pressante e se sempre più anime sono dal Signore e dalla Madonna ingaggiate per questo ufficio per sé così drammatico, quanto deve essere grave la situazione del mondo, quanto deve essere impregnato ed avvelenato di peccato questo povero pianeta su cui viviamo? Nel panorama della folta schiera di “anime vittime” provvidenzialmente operanti e sofferenti nel secolo scorso e in quello presente, l’attenzione si posa volentieri su san Pio da Pietrelcina, colui che potrebbe essere definito il corifeo di questa schiera di anime generose, colui che ha vissuto il mistero di questa sofferenza vicaria anche con una visibilità straordinaria, avendo portato impressi nel suo corpo per 50 anni i segni sanguinanti della Passione del Cristo.
La sua missione, la missione dello stimmatizzato del Gargano, era rinnovare e riattualizzare la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo e i suoi frutti redentivi. «Che sia Gesù venuto di nuovo su questa terra sotto la veste di frate?», è quanto si domandava esterrefatta Cleonice Morcaldi, una delle più intime confidenti e figlie spirituali di padre Pio da Pietrelcina dopo il loro primo incontro. Tale era lo stupore di tutti quelli che accostavano quel misterioso Frate. La domanda della Morcaldi riassume lo stato interiore, la sorpresa delle centinaia di migliaia di uomini e donne che hanno potuto avvicinare il Padre lungo l’arco della sua vita. Ma quella domanda ha anche il pregio di riassumere la questione sorgiva inerente alla persona, al mistero, alla vocazione di padre Pio: quel frate era davvero un “alter Christus Crucifixus” e da questo fatto fondamentale si spiegano tutte le altre cose straordinarie che avvenivano in lui e attraverso di lui: prodigi, miracoli, profezie, locuzioni, bilocazioni e carismi di vario genere. Un altro Gesù, insomma, riedizione attuale del Nazzareno, mandato sulla terra da Dio per salvare l’umanità camminante pericolosamente sull’orlo dell’abisso proprio nel secolo che, di tutti, è stato il peggiore e più disastroso. Chi ha visto padre Pio, in pratica, ha visto Cristo redivivo e ha sperimentato la potenza vivificante dell’opera redentrice e salvatrice di Lui, Morto e Risorto.
L’impegnativa missione affidata dal Cielo al Frate di Pietrelcina comportava sofferenze fisiche e spirituali inaudite. Egli, con il trascorrere del tempo, comprendeva sempre più a fondo il significato di quelle sofferenze che lo avevano segnato fin da piccolo. Le piaghe dell’anima gli procuravano dolori ancora più profondi delle ferite del corpo: «Prima dei chiodi alle mani ed ai piedi, l’anima era già crocifissa», ricordava ai suoi direttori. La croce che, come un cireneo, portava per espiare le colpe del popolo di Dio, si componeva di dolore corporale con le malattie e le stimmate; ma concerneva anche una estenuante flagellazione dell’anima con le vessazioni diaboliche, le incomprensioni, le persecuzioni da lui tutte pazientemente sopportate ed offerte. I segni della Passione nel corpo di padre Pio riattualizzano, come in una sorta di sacro memoriale, le sofferenze e la morte redentrice del Salvatore. Non avvenimenti dovuti al caso o ad una serie di circostanze più o meno fortuite, esse sono al contrario il sigillo di tutta la missione di Cristo. Il mistero della sofferenza nella vita di padre Pio va letto essenzialmente in prospettiva cristologica e soteriologica, in quell’orizzonte cioè che disvela un autentico valore nella sofferenza, in quanto carica della “capacità redentiva”; ma è Cristo Crocifisso e Risorto cha ha dato alla sofferenza umana questa potenzialità radicale, dandole altresì un senso, un volto, un significato. Il patimento, dopo l’Incarnazione redentrice di Gesù Cristo, non sarà mai più segno dell’abbandono di Dio ma della partecipazione e comunione al grande mistero della redenzione da Lui attuata.
Il primo volume dell’Epistolario del Padre attesta con chiarezza la sua vocazione alla sofferenza vicaria mentre egli andava progressivamente disponendosi all’accettazione del volere divino. In una lettera del 29 luglio 1910 si legge: «Parmi di racconsolarmi ed incoraggiarmi a sempre più correre nella via della croce. Soffro è vero, ma intanto non mi dolgo perché Gesù così vuole» (Epistolario I, p. 193). Degno di nota è anche uno scritto indirizzato al suo direttore spirituale, padre Agostino da San Marco in Lamis, in data 20 settembre 1912: «Egli [Cristo, n.d.r.] si sceglie delle anime e tra queste, contro ogni mio demerito, ha scelto anche la mia per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza. E quanto più queste anime soffrono senza verun conforto tanto più si alleggeriscono i dolori del buon Gesù» (Epistolario I, p. 304). Nel testo citato, padre Pio parla di aiuto dato al Cristo «nel grande negozio dell’umana salvezza» e la sua partecipazione ai di Lui dolori. È, in effetti, la “testimonianza autoconfessata” della chiamata del Signore, a lui rivolta, alla sofferenza vicaria.
In un’altra lettera del 27 agosto del 1918 indirizzata a padre Pio da padre Benedetto (a quel tempo suo direttore spirituale) si parla di una vera e propria missione a corredimere. Nel tentativo di offrire una spiegazione teologica della mistica grazia della trasverberazione del cuore di cui padre Pio era da poco stato insignito, il padre Benedetto afferma: «Tutto quello che avviene in voi è effetto di amore, è prova, è vocazione a corredimere, e quindi è fonte di gloria […]. Il fatto della ferita compie la passione vostra come compì quella dell’amato sulla croce» (Epistolario I, pp. 1068-1069). L’autore della lettera, parlando di vocazione a corredimere, palesa il senso cristologico e soteriologico – a cui prima si accennava – delle esperienze dolorose vissute dal Frate di Pietrelcina, di una vocazione a conformarsi in modo singolare al Cristo Crocifisso a beneficio dei fratelli; l’esperienza della trasverberazione assume, senz’altro, un valore prolettico in relazione a quanto si verificherà un mese dopo circa, quando la conformità crocifissa verrà suggellata dalle stimmate visibili alle mani, ai piedi ed al costato. Con la partecipazione dolorosa alla Passione dell’Amato sulla croce, padre Pio per grazia divina si associava alla stessa missione del Redentore. Il misterioso personaggio della trasverberazione e della stimmatizzazione, di cui parla padre Pio nelle sue lettere, è lo stesso Cristo. È per l’appunto questo Amante crocifisso Colui che sceglie il giovane sacerdote come sua vittima di amore e di dolore. Questa immedesimazione al Cristo Crocifisso, così, ben più che semplice imitazione di Gesù, è piuttosto principio efficace di collaborazione attiva alla Redenzione, flusso vivo del Sangue di Cristo: «Padre Pio, dunque, come primo sacerdote stimmatizzato che la storia della Chiesa registri, è stato chiamato a cooperare con Cristo alla redenzione del genere umano, contribuendo, con la sua vita e con lo svolgimento del suo ministero sacerdotale, ad applicare alle anime i meriti della vita, passione, morte e risurrezione di Cristo».
E giungiamo, finalmente, al culmine dell’itinerario corredentivo di padre Pio, laddove è svelato un ulteriore prodigio nella già prodigiosa e meravigliosa vocazione del Santo cappuccino. Un fatto sorprendente che si pone come vertice e compimento della vocazione oblativa del Santo cappuccino. Sarà mons. Piero Galeone a svelare quello che sembra uno dei più grandi misteri mai registrati dall’agiografia cristiana, che sortisce effetti meravigliosi in questi ultimi tempi e di cui la nostra generazione è testimone: «Padre Pio non si è limitato a lasciarci il suo sconvolgente esempio, la sua missione non è finita il giorno della sua nascita al cielo, il 23 settembre 1968. Monsignor Pietro Galeone […] ha rivelato un segreto che lascia senza parole: “Padre Pio mi rivelò di aver chiesto a Gesù e di aver ottenuto non solo di essere vittima perfetta, ma anche vittima perenne, cioè di continuare a rimanere vittima nei suoi figli, allo scopo di prolungare la sua missione di corredentore con Cristo sino alla fine del mondo. Egli mi ha detto e confermato di aver avuto dal Signore la missione di essere vittima e padre di vittime sino all’ultimo giorno […]”». Le conseguenze di una simile rivelazione non possono che essere grandiose. Si è letto qualcosa che suona come la garanzia che, in qualche modo, ci sarà fino alla fine del mondo qualche vittima, qualcuno che si immolerà per riparare, per scongiurare, per impetrare; ci sarà sempre qualche parafulmine interposto da Dio tra l’umanità peccatrice e la Giustizia divina…
Il grande e santo papa Pio X sul cui conto padre Pio diceva non essere salito mai uno più grande sul trono di Pietro, con cui ebbe profondi legami di ordine spirituale e che morirà proprio offrendosi vittima per scongiurare la Grande guerra, esortava i sacerdoti a “offrirsi vittime” e definendo ciò come “grande ufficio della pietà cristiana”. Il che vuol significare che — lungi dall’essere un’ascesi intimistica — proprio questo sacrificio di sé, assimilando a Cristo, permette al Signore di operare più efficacemente sulla terra. Ben più di quanto ottengono tutte le azioni umane e i progetti e le iniziative: «Questa “arma”, apparentemente povera e insignificante, l’arma del proprio corpo e del proprio cuore, l’arma dei poveri, dei piccoli e dei semplici, è – secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa – quella in cui più si manifesta la potenza di Dio, specialmente nel tempo della grande prova e della grande apostasia».
È l’offerta compiuta da padre Pio e dai Pastorelli di Fatima, sulla scorta del messaggio della Bianca Signora. È ancora il messaggio che si prolunga e che arriva, oggi, alle anime generose che vogliano assumersi il compito di fare da parafulmini della divina giustizia. C’è dunque una speranza. Alla fine il Bene dovrà trionfare.
2.(fonte: settimanaleppio.it)