di Padre Paolo Covino, “Ricordi e testimonianze”, pp. 49; 51; 55.
Il 10 agosto del 1931, vidi il sindaco di San Giovanni Rotondo, il cav. Francesco Morcaldi, da tutti chiamato, in paese, “don Ciccio”, dirigersi verso la stanza n. 5, al primo piano del convento. Aveva in braccio un bambino di circa un anno.
Informato da me che il Padre era nella stanzetta, bussò alla porta dicendo: «Sono don Ciccio, aprimi un attimo». «Cavalié – rispose Padre Pio dall’interno – non ti posso aprire». «Un… minutino, Padre, voglio darti gli auguri». «Grazie, cavalié, il Signore ti benedica». «Ti prego, aprimi un po’, benedici questo bambino». «Il bambino lo benedico lo stesso, da qui». Il Padre non aprì. Fu inutile ogni preghiera. Il Morcaldi mi guardò triste e se ne andò.
Io che sapevo della loro buona amicizia, rimasi di stucco, mi strinsi nelle spalle e non proferii parola. Ammirai però la fortezza d’animo del Padre. Era il periodo della segregazione e, per lui, l’ubbidienza veniva prima di ogni cosa.
Raccontai questo episodio più volte a confratelli ed amici. Lo ricordai anche a don Ciccio che, compiaciuto, sorrise. Tutti rimasero, per l’ubbidienza di Padre Pio, ammirati ed edificati.