Una vita di prodigi

Estratto del libro “Padre Pio santo. La vita e i miracoli” di Roberto Allegri (2002).

La testimonianza di Pino Pedano

(…) Pino Pedano è noto in tutti gli ambienti artistici. (…) E nel 1995 anche lui ha conosciuto l’amore e la protezione di Padre Pio.

Pino Pedano davanti ad un monumento che ha realizzato in onore di Padre Pio.
Pino Pedano davanti ad un singolare monumento che ha realizzato in onore di Padre Pio.

“Mentre rientravo dal ristorante, a Milano, dove vivo”, ha raccontato, “sentii un rigurgito in bocca e sputai sangue. È un po’ di gastrite, mi dissi per tranquillizzarmi. Ma alcuni giorni dopo fui colto da una nuova emorragia, inarrestabile. Questa volta mi spaventai veramente, dissi a mia moglie di chiamare un’ambulanza e mi feci portare al pronto soccorso del San Raffaele. I medici mi visitarono e mi ricoverarono immediatamente. Dissero a mia moglie che la situazione si presentava drammatica. Avevo un tumore ai polmoni e un diabete altissimo.

Trascorsi una nottata da incubo, con mia moglie che piangeva disperata. Al mattino fui sottoposto ad analisi, controlli radiologici che confermarono la diagnosi. I medici dissero che con quel diabete alle stelle non si poteva neppure pensare ad un intervento chirurgico: per me non c’erano speranze. Mia moglie chiese se poteva portare i bambini a salutare il papà per l’ultima volta. I miei tre figli piccoli arrivarono nel pomeriggio, vestiti a festa. Pensando che sarebbero rimasti orfani, fui preso da una profonda e disperata commozione e scoppia a piangere. Poi i bambini se ne andarono, i medici mi diedero dei sedativi per calmare la mia emozione.

Sul comodino avevo messo alcune fotografie, tra cui anche un’immagine di Padre Pio, che avevo imparato a conoscere attraverso mia madre, sua figlia spirituale. E in quel momento di dolore disperato sentii il desiderio di pregarlo intensamente. Gli chiedevo di aiutarmi perché non volevo lasciare soli i miei bambini ancora così piccoli. Mi addormentai. Mi sveglia di soprassalto alle cinque del mattino. Un risveglio brusco, repentino, come se qualcuno mi avesse scosso violentemente. Aprii gli occhi, e vidi che la stanza era invasa da una luce bianchissima, accecante. Mi sentivo immerso in quella luce e insieme sentivo che essa penetrava nel mio corpo, lo purificava, lo sterilizzava. Non c’era nessuna immagine dentro quel chiarore, ma io percepivo, in modo fortissimo, la presenza di Padre Pio. Poi la luce scomparve, e io mi sentivo benissimo. Avevo la certezza di non essere più ammalato.

Volevo chiamare i medici, raccontare loro quell’esperienza, ma mi trattenni. Mi avrebbero preso per matto. I medici continuarono le loro analisi, ma subito si accorsero che del tumore non c’era più alcuna traccia. Si preoccuparono, volevano trovarlo a tutti i costi, e mi sottoposero ad un’infinità di altre analisi. Dopo sei giorni, non potendone più, decisi di parlare: È inutile che cerchiate il tumore, dissi. Non c’è più. È venuto Padre Pio e mi ha guarito. I medici mi guardarono cinici. Pensavano che fossi impazzito.

Riuscii a farmi dimettere dall’ospedale. Tornato a casa, ripresi la mia vita di sempre. Del tumore non ho più avuto notizie e, a poco a poco, sono riuscito a sconfiggere anche il diabete. Come si può immaginare, questa esperienza ha sconvolto e cambiato profondamente la mia vita”.

La testimonianza di Umberto Zanetti

Umberto Zanetti è un pittore conosciuto in tutto il mondo. (…) Artista nobile e ispirato, è un uomo civilissimo. Conversare con lui fa bene alla salute perché è fortemente positivo, ottimista, pieno di entusiasmo. Una positività la sua connaturale, e consolidata da una spaventosa tragedia. Zanetti infatti è un sopravvissuto della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. la terribile bomba, che fece 85 morti e 200 feriti, gli scoppiò a sei metri, dilaniando orribilmente il suo corpo e uccidendo la moglie, Vincenzina, che aveva accanto. Con l’aiuto della fede e dell’arte è riuscito a superare le conseguenze di un simile dramma conquistando un ammirevole atteggiamento di perdono. Ma, quando si sofferma a ricordare quella tragedia il suo pensiero corre a Padre Pio.

“Conobbi il Padre alla fine degli Anni Cinquanta”, ha raccontato il pittore. “Andai da lui per chiedere la grazia per una mia figlia che aveva dei problemi all’anca. Fu un incontro meraviglioso. Le sue parole, il suo sguardo, non li dimenticai più. Fecero scattare un’intesa immediata. Sembrava che mi conoscesse da sempre, che mi volesse bene come un padre. Da quel momento ho sempre sentito la sua presenza accanto. Riguardo a mia figlia, mi disse: «La strada è lunga, ma andrà tutto bene». Mia figlia venne operata diverse volte. Allora gli interventi all’anca erano all’avanguardia. Il calvario fu lungo, ma alla fine tutto è andato bene. Mia figlia ora è medico, una bravissima ragazza, che ha sofferto molto ma forse anche la sua sofferenza è servita ad arricchire il suo cuore.

Dopo quel primo incontro, Padre Pio mi fu sempre accanto. Mi faceva sentire tutti i giorni il suo profumo meraviglioso. Ogni sera, tornando dal lavoro, appena mi avvicinavo al cancello della mia casa e infilavo la chiave per aprirlo, venivo inondato da un profumo soavissimo. All’inizio non capivo. Andavo a cercare la fonte di quella fragranza, ma non c’erano fiori nell’intorno. E poi sentivo il profumo anche d’inverno e allora dovetti convincermi che era proprio un regalo del Padre. Ma non ho sentito solo il suo profumo. Ho constatato decine di volte che il padre mi era accanto e mi proteggeva. Nel 1960, nella ditta dove lavoravo, crollò una sbarra di ferro di due quintali. Mi venne addosso. Io sarei dovuto rimanere schiacciato, invece non mi toccò neppure. Si fermò a qualche cm dalla mia testa.
Viaggiavo molto in aereo per la mia ditta. Ho avuto alcuni atterraggi d’emergenza ma non mi accadde mai niente di grave. Una volta, dopo una visita al Padre, ci preparammo a tornare a casa.

«Andate piano», disse lui. A San Benedetto del Tronto, l’auto cominciò a fare le bizze e si fermò. Cercammo di aprire il cofano per trovare il guasto, ma non si riusciva. Chiedemmo aiuto ai vigili, ma anche loro non riuscivano ad aprire. Sembra che il cofano si fosse saldato al resto dell’auto. Era domenica, le officine erano chiuse. Finalmente, in un’osteria, riuscimmo a trovare un meccanico. Arrivò con i ferri del mestiere, provò a mettere in moto e il motore si accese subito. Provò ad aprire il cofano, e il cofano si aprì subito. Eravamo stupefatti. Ripartimmo. Più avanti trovammo un grosso incidente stradale con morti e feriti. Controllando l’ora esatta dell’incidente constatammo che, se non ci fossimo fermati a San Benedetto, saremmo stati coinvolti in quel disastro.

Il 2 agosto 1980 mia figlia Daniela doveva rientrare in treno da Basilea, dove aveva subito un ulteriore intervento chirurgico all’anca. Io e mia moglie andammo a prenderla. Entrammo in stazione alle 10:18. ci fermammo sulla pensilina del primo binario dove, per le 10:30, era previsto l’arrivo del treno da Basilea. C’era molto movimento di gente che andava in vacanza. Passavano gruppi di bambini diretti alle colonie. Stavo parlando con mia moglie quando ci fu lo scoppio della bomba. Fu un finimondo. Tutte le persone che erano in quella zona persero la vita. Anche mia moglie. Io fui scaraventato nel cratere dalla bomba e mi piovvero addosso sassi, cemento, travi, ferri contorti, pezzi di vagone, ogni genere di cose. Ma al momento dello scoppio ho avuto la precisa sensazione che qualcuno mi abbracciasse forte, e là, sotto le macerie, continuavo a sentire distintamente quell’abbraccio e intravedevo la figura di Padre Pio che mi fissava come per darmi coraggio. Non so quanto rimasi in quello stato. Ad un certo momento sentii delle grida. Erano i soccorritori. Qualcuno notò la mia mano che sporgeva dalle macerie. Fui tirato fuori. Mi caricarono su un furgone. Buttalo su, tanto questo non arriva fuori dalla stazione, disse una voce.

Come seppi in seguito, avevo la testa spaccata in due, il femore rotto, le gambe spezzate, i piedi, le mani, il torace, la schiena, il ventre pieni di ferite. All’ospedale mi diedero cinque litri di sangue. Furono necessari 200 punti per ricucire la testa. Non esistevano speranze di salvezza per me. Ma c’era sempre quella figura di Padre Pio che mi fissava intensamente. Poi caddi in come e mi svegliai dopo diversi giorni. Nessuno tra i medici pensava che potessi farcela. Furono necessari diversi interventi chirurgici per rimettermi insieme. Ma, come vede, sono ancora qua. Padre Pio mi ha salvato e, da allora, io vivo solo per lui”.

La testimonianza di Teresa Sorrentino

Teresa Sorrentino è una giovane signora distinta, elegante, molto conosciuta a Cava de’ Tirreni, in provincia di Salerno, dove è nata e dove vive. Moglie di un celebre avvocato, Angelo Trapanese, ha due figli, Salvatore e Clarissa. Vanta un notevole curriculum di studi: una laurea in Lingue, una in Lettere e una terza in Scienze dell’Educazione e da oltre quindici anni è impegnata nell’insegnamento all’Università.

mp02410_med“Cominciai a conoscere Padre Pio nel 1972 e da allora è diventato il mio protettore”, ha raccontato. “La nostra intesa è stata istintiva e immediata. Ho saputo che io e lui eravamo nati lo stesso giorno, il 25 maggio, e quel particolare mi legava a lui. Ogni anno, quando festeggiavo il compleanno, pensavo a Padre Pio. Ero felice di quella coincidenza che mi pareva fosse un segno.

Il 16 maggio 1998 mi trovavo nella mia casa di a Cava de’ Terreni. Alle 17, mentre stavo parlando al telefono, mi sentii mancare. Come mi riferirono in seguito i familiari, dissi: Mi sento male, e crollai a terra priva di conoscenza. Caddi giù peso morto, andando a sbattere la testa sulla cornetta del telefono che tenevo in mano. La cornetta si infilò nel mio occhio destro provocando un grosso ematoma e ferendo gravemente il bulbo oculare.

I soccorsi furono immediati. Fui portata al pronto soccorso, dove i medici si resero conto della gravità della situazione. Mi era scoppiata una vene nel cervello. L’ospedale non era attrezzato per un caso così grave e fui subito dirottata all’ospedale di Vallo, dove arrivai quasi morta. Fui sottoposta a un drenaggio cerebrale, che però non fece che aggravare la situazione.

Ero in coma. Fui ricoverata nel reparto di terapia intensiva, sottoposta a tutti i controlli possibili. La TAC dimostrò che avevo avuto un aneurisma cerebrale. La sentenza dei medici era drammatica: Coma irreversibile, quindi niente speranze.

E, nel caso mi fossi svegliata, i medici dissero ai miei familiari che la mia sorte sarebbe stata terribile: sarei rimasta certamente paralizzata, costretta quindi su una sedia a rotelle, perché metà del corpo non dava più segni di sensibilità. Avrei anche avuto gravissimi disturbi di afasia, disturbi di conoscenza e sarei rimasta cieca all’occhio colpito nella caduta. Il quadro clinico era quindi disperato. E, mentre il mio corpo fisico era in quelle condizioni, il mio spirito spiccò il grande volo. Ho vissuto anch’io quella straordinaria esperienza che hanno raccontato molte persone dopo essere state in coma. Sono andata nell’aldilà. Mi sono sentita come libera dal mio corpo. Mi sono trovata di fronte al famoso tunnel nero. Lo attraversai in preda a una grandissima paura e giunta dall’altra parte mi trovai immersa da una luce fortissima. Entrando in quella luce fui invasa da una gioia e da una felicità totali, impossibili da descrivere. E in mezzo a quella luce vidi all’improvviso mio padre che era morto tre anni prima. Fu lui che mi disse che in quella brutta disgrazia ero stata protetta da Padre Pio e che Padre Pio mi avrebbe fatta guarire senza alcuna conseguenza.

Trascorsi momenti indescrivibili in quella luce e poi mio padre mi disse che dovevo tornare sulla terra. Io risposi che mai me ne sarei andata da quella pace. Ma lui insistette. Disse: Padre Pio vuole che tu torni in terra, per stare con la tua famiglia e per testimoniare quanto hai ricevuto. Il richiamo alla mia famiglia mi fece ricordare i figli piccoli, e capii che dovevo tornare. Riattraversai il tunnel senza paura questa volta. Ricordo benissimo il momento in cui rientrai nel mio corpo e mi svegliai dal coma. Ma c’è un dettaglio da evidenziare che accadde mezz’ora prima del mio risveglio. Come ho detto, ero in sala rianimazione, assistita continuamente da medici e infermiere. Quella mattina mia mamma cominciò a sentire un fortissimo profumo. Si ricordò del profumo di Padre Pio e diceva: Questo è il profumo di Padre Pio, significa che mia figlia si sveglierà, ma le infermiere rispondevano: Qui si sente odore solo di medicine, di alcool, non profumo. Mia madre invece gridava dalla gioia. I medici la fecero allontanare perché pensavano che fosse in preda a una crisi isterica. Ma aveva ragione. Infatti, poco dopo mi svegliai dal coma.

In genere chi si sveglia dal coma profondo, resta confuso e si mette a vaneggiare. Io invece mi svegliai perfettamente lucida. Riconobbi il medico che mi stava accanto e gli chiesi che cosa mi fosse capitato. Riconobbi mia madre che era corsa al mio letto e la chiamai con voce nitida: Mamma. I medici rimasero allibiti. Dissero che era un fatto straordinario, mai visto prima. E, guarda caso, quel giorno era il 25 maggio, cioè il giorno del mio compleanno e del compleanno di Padre Pio. Il Padre aveva voluto farmi quel bel regalo.

Fui trasportata a Roma, al Policlinico La Sapienza, affidata a un luminare, il dottor Cantore, e operata. Fu trovato che ero stata colpita da un aneurisma multiplo carotideo. La vena si era spaccata in quattro punti. Furono necessari due interventi chirurgici consecutivi, complicati e difficili per rimetterla a posto. Ma, come aveva detto Padre Pio, tutto andò bene e io non ne riportai alcuna conseguenza. Non solo, ma non avvertii alcun dolore.

C’era il problema dell’occhio destro, rimasto offeso nella caduta. Ma anche quello andò a posto per conto suo. Non si sa come, ancora oggi è un mistero.

Tornai a casa dall’ospedale il 13 giugno. Il 5 luglio, quindi 22 giorni dopo, ero all’università a fare esami e da allora non mi sono più fermata”.

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